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«Andiamo
verso un'era dove la gente avrà sempre più tempo libero
e non avrà più nulla in proprietà. Un'epoca dove si
pagherà per l'esperienza e non per gli oggetti». «Caro
Rifkin, questa idea della fine del lavoro che tu
teorizzi è preoccupante. Ho l'impressione che stiamo
passando dalla catena di montaggio della fabbrica a
quella della cultura. Sempre schiavi saremo, soltanto
diversi». Jeremy Rifkin e Umberto Eco. L'economista e
l'umanista. Il profeta americano del nuovo capitalismo
culturale, autore di libri come Il secolo biotech e
L'era dell'accesso, e il grande semiologo italiano, il
romanziere, l'osservatore critico della nostra società.
I due professori si sono incontrati a Modena ieri, in
un'aula prestata alla rassegna sulla globalizzazione
Free International Airport. Moderati da Vittorio
Zucconi, Rifkin e Eco hanno cercato di spiegare quale è
il futuro della «società globale». Jeremy Rifkin: «Io
parto da questa considerazione: il nostro mondo ormai è
fatto di recinti. Abbiamo suddiviso e misurato ogni
cosa, ci sono perimetri geopolitici ed economici per
qualsiasi bene disponibile, dalla terra fino al cielo.
E' una tendenza che è iniziata con il feudalesimo e che
si sta per concludere adesso con il brevetto dell'uomo,
con la mappatura del genoma. E' così, bisogna saperlo.
Niente più della nostra vita è pubblico, tutto ha un
prezzo, uno costo. Tutto è in vendita. Ma le nuove
tecnologie stanno rivoluzionando la nostra vita. Ormai
possiamo muovere le informazioni alla velocità della
luce e i mezzi di comunicazione ci garantiscono una
interconnessione completa e globale. Questo significa
che siamo sull'orlo di una nuova era nella storia
dell'uomo, l'era dell'accesso. Il vecchio capitalismo è
finito e abbiamo iniziato a vederne la
crisi». Umberto Eco: «Vorrei farti però questa
obiezione. L'epoca del nuovo Terziario, in cui il lavoro
dovrebbe diminuire e dovremmo avere tutti più tempo
libero, mi sembra si risolva soltanto con l'aumento di
un'altra industria, quel del divertimento, che gli
americani chiamano entertainment. Se la gente lavora
trenta ore la settimana il resto del tempo lo passa
davanti alla televisione con programmi tutti uguali. Non
tutti, nel tempo libero, vanno a fare il volontario come
vorresti tu. L'aumento del tempo libero che è aumentato
rispetto a cinquant'anni fa ha portato la gente ad
adeguarsi ai modelli della globalizzazione e
dell'entertainment». Vittorio Zucconi: «La parabola
di Internet è perfetta, in questo senso. Ci avevano
detto che la Rete sarebbe stata una grande prateria
aperta a tutti, dove ognuno avrebbe espresso le sue
idee. Oggi invece sappiamo che ci sono soltanto pochi
fornitori e che l'80% dei navigatori consulta
abitualmente quattro siti. La grande prateria è
diventata già un piccolo orticello». Rifkin: «Hai
ragione. Il problema è riuscire a trovare un nuovo
antitrust globale, che garantisca un accesso a tutti. Il
bene di maggior valore oggi è lo spettro
elettromagnetico sul quale viaggiano le
telecomunicazioni e molte delle attività commerciali. Le
più potenti multinazionali di comunicazione, come
Vivendi, Sony, News Corporation o Fininvest, stanno
cercando di ottenere il controllo totale dell'etere. Il
rischio di una nuova forma di repressione è
reale». Eco: «Magari avremo un'unica grande
multinazionale, uno Zio Paperone che controlla la città
e fa anche un po' di beneficenza». Rifkin: «Faccio un
altro esempio. Il governo britannico ha concesso il
brevetto al laboratorio che ha clonato la pecora Dolly
che ora potrà clonare tutti gli esseri umani dal
concepimento allo sviluppo neoplastico. Abbiamo abolito
la schiavitù degli esseri umani, ora mi domando: si può
possedere un uomo dal concepimento alla
gestione?» Eco: «Passiamo dal genoma al culturoma.
Una volta ogni società aveva una sua etica. L'etica
televisiva di oggi ci propone dei modelli da scemo del
villaggio. Il nostro modello di vita è Monica Lewinsky.
Questa è la fine della morale». Rifkin: «Molti mi
considerano un critico della globalizzazione. Non è
vero. Io non mi oppongo ai mercati globali. Il problema
è di non essere spazzati via. Dobbiamo batterci per la
diversità biologica e culturale, come fanno nel mondo le
organizzazioni governative». Eco: «Questa è la mia
agendina americana Sharp ma potrebbe essere fatta in
Cina, come la mia giacca made in France potrebbe venire
dalla Malesia. La globalizzazione non è né un valore né
un disvalore: è un fatto. Un tempo non si viaggiava, ora
ci si sposta tra Calcutta e le Maldive. Chatwin e Marco
Polo quando tornavano dai viaggi avevano da raccontare
tante storie, ora invece chi torna non ha nulla da dire,
perché l'albergo, il cibo e i trasporti sono uguali a
quelli di casa. Il castello di Milano è illuminato come
quello di Disneyland». Rifkin: «Il nuovo capitalismo
culturale può avere due facce: può essere un nuovo
Rinascimento oppure un'epoca cupa, un secolo buio.
Dipende da come sapremo bilanciare la
commercializzazione della cultura e quindi della vita e
il mantenimento di spazi culturali non mercificati, come
il volontariato, le religioni, l'arte, la musica, il
contatto personale tra la gente, le comunità reali, i
cibi genuini, l'appartenenza alle tradizioni. Dobbiamo
difendere le nostre storie. Per questo penso sia giusto
protestare contro la politica e i governi che partono
dall'economia per arrivare alla cultura: è il contrario
che bisogna fare. Parteciperò al G8 di Genova per
sostenere questa svolta, insieme alla società
civile». Zucconi: «Questo movimento di Seattle è
ancora confuso. In alcuni aspetta mi sembra una nuova
forma di antiamericanismo. Una trasformazione di vecchie
ideologie pauperistiche». Eco: «Non parlerei di
antiamericanismo. Penso piuttosto che ci sia una
compente neoluddista. Se fosse così è un movimento
destinato alla sconfitta. Ma io non andrò a Genova per
altri motivi. Penso che la manifestazione di massa avrà
un forte valore di testimonianza, ma non svolgerà nessun
ruolo politico. Piaccia o no le decisioni le prendono i
governi. Se vogliamo davvero che venga ratificato il
protocollo di Kyoto bisognerà trovare un accordo o con
l'Europa o con l'America. Il lavoro nero a Hong Kong non
si decide smettendo di comprare le magliette, e poi
magari utilizzando, per protestare, computer assemblati
in Corea». Rifkin: «Il peccato è che la sinistra
abbia lasciato questi temi, l'identità della cultura, la
difesa delle tradizioni, all'estrema destra». Eco:
«Sì, Bossi vuole servirsene per costruire la
Padania!» Zucconi: «C'è un problema nella difesa
della differenza culturale. In Europa sappiamo che la
diversità ha potato a guerre e conflitti. Le torri di
San Gimignano sono simbolo di secoli di lotta
fratricida. Giuletta e Romeo è una stupenda storia
d'amore ma nasconde una tragedia». Eco: «C'è anche
una differenza tra il rinchiudersi autistico, come il
rifiuto dei greci che chiamavano barbaro chi non parlava
greco, e l'orgoglio di voler parlare il dialetto o
difendere la propria terra». Rifkin: «Voi italiani
siete stati i primi a sviluppare il concetto di
commercio e avete saputo vendere la vostra cultura
sull'arena internazionale: mobili, seta, vetri. Secoli
di grandi successi e la vostra cultura non è mai stata
strangolata dal commercio. La ragione principale è che
nessun italiano ha mai creduto che il mercato fosse più
importante della cultura. Spero che l'Italia rinunci a
seguire il modello
americano». |